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“Le Costituzioni dovrebbero evitare le trappole, non configurarne di bizzarre” | Tomaso Montanari

Dopo il confronto con Luciano Violante su La7, Tomaso Montanari si concentra sulle modalità di elezione del Presidente della Repubblica previste dalla riforma costituzionale in un articolo su Micromega.

“Un punto cruciale del dibattito ha riguardato l’elezione del presidente della Repubblica. Come il vecchio, il nuovo articolo 83 prevede che: «Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri». Solo che – se vincesse il Sì – il Parlamento sarebbe così composto: 630 membri della Camera (come ora: si sono ben guardati dal limitarne il numero, alla faccia della retorica del risparmio!), 95 senatori nominati dai consigli regionali (iddio sa come), fino a 5 senatori nominati dal presidente della Repubblica (durano sette anni, e dunque il loro numero al momento del voto è imprevedibile: dipende quando saranno stati nominati) e i senatori di diritto e a vita in quanto ex presidenti della Repubblica.

Immaginiamo dunque l’elezione del successore di Mattarella, e consideriamo il corpo elettorale più ampio possibile (augurando lunghissima vita a Giorgio Napolitano): 630+95+5+2, cioè 732 elettori.

Dobbiamo subito dire che, a legislazione attuale (dunque ad Italicum vigente), il partito di maggioranza avrà (per legge) 340 seggi alla Camera, e, diciamo, una maggioranza di 60 senatori (qua il dato è, per forza di cose, empirico: ma è una ragionevole proiezione del peso attuale del Pd): dunque un pacchetto di 400 voti.
Ebbene, nei primi tre scrutini (come ora) per eleggere il Capo dello Stato ci vorranno i due terzi: 488. Il partito di maggioranza dovrebbe trovarne 88: il che implica un’alleanza politica di una certa ampiezza.

Già, però, dal quarto al sesto scrutinio il quorum per l’elezione presidenziale scende ai tre quinti dei componenti: 440. E qua cominciano i problemi, perché basta una piccola ‘aggiunta’ (esempio non troppo astratto: un drappello di volenterosi verdiniani) per fare schiavo colui che dovrebbe essere il massimo garante di tutti.

Ma la vera e propria crisi democratica si manifesta con ciò che viene previsto dal settimo scrutinio: quando basteranno i tre quinti dei votanti. Si tratta di un inedito quorum mobile: ma fino a che punto potrà abbassarsi? L’unico limite è quello imposto dall’articolo 64 della Costituzione (non toccato dalla riforma), che impone il numero legale: perché il presidente possa venire eletto è necessario che siano presenti la metà più uno dei componenti, cioè 367 elettori. Ora, i tre quinti di 367 è pari a 221: e dunque la nuova Costituzione prevede che dalla settima votazione il Capo dello Stato si elegga con una maggioranza minima di 221 voti, cioè con una maggioranza che è tutta nella disponibilità del singolo partito che avrà vinto le elezioni (340 deputati), anche se al Senato non dovesse avere nemmeno un seggio!

Di fronte all’evidenza dei numeri, Violante ha risposto che si tratta di un’eventualità remotissima, perché alle elezioni presidenziali tutti sono presenti. Benissimo: ma allora perché la nuova Costituzione dovrebbe prevedere una simile stranezza? Come è ovvio, le Costituzioni dovrebbero evitare le trappole, non configurarne di bizzarre. Mentre qua si aprono scenari bizantini complicatissimi, fatti di giochi incrociati di assenze e presenze: una geometria dalle mille varianti che consegna un margine enorme alla peggiore politica, quella da corridoio parlamentare.”

L’articolo completo su Micromega.


Segnalato da:
Carla Cardia

Categories:   Segnalazioni

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