Referendum Costituzionale – Valigia Blu

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“Perché voterò No al referendum costituzionale” | intervista a Mario Monti

In un’intervista al Corriere della Sera, il senatore Mario Monti spiega perché voterà No al referendum costituzionale del 4 dicembre: «a me risulta impossibile dare il mio voto a una Costituzione che (…) per essere varata sembra avere richiesto una ripresa in grande stile di quel metodo di governo che a mio giudizio è il vero responsabile – molto più dei limiti della costituzione attuale – dei mali più gravi dell’Italia: evasione fiscale, corruzione, altissimo debito pubblico».

“«Il voto al referendum, in quanto riguarda la Costituzione, sarà ovviamente di grande importanza. Inoltre gli elettori di fatto decideranno di un’altra grande questione: non, come molti pensano, la sorte del governo o del presidente del Consiglio o del segretario del Pd, ma qualcosa di rilievo più fondamentale e durevole, il metodo di governo (la governance) nei confronti dell’economia e della società italiana. Tale metodo dipende certo dalla costituzione, ma anche da un insieme di prassi dei quali la costituzione stessa è solo l’ossatura. Di solito, l’adozione di una nuova costituzione corrisponde ad una fase di forte rinnovamento morale e civile, di nuove speranze, di archiviazione di metodi consunti che hanno fatto il loro tempo e spesso i loro danni. Invece nell’Italia di questi tre anni – malgrado l’equilibrio, la saggezza e la fermezza con cui il Presidente Napolitano ha stimolato e indirizzato il necessario processo di revisione costituzionale – si sono rivitalizzate, e purtroppo trapiantate sul terreno costituzionale, alcune delle prassi più nocive che avevano caratterizzato l’Italia per molti decenni e che solo di recente, anche grazie al maggiore influsso dell’Unione europea, si era iniziato ad abbandonare, prima fra tutte quella di orientare le decisioni pubbliche alla ricerca del consenso elettorale e ora perfino referendario. Ciò viene fatto sia con oneri sul bilancio pubblico, sia rimandando interventi a favore della concorrenza e contro le rendite».

(…)

Perché votò Sì nel 2014?
«In quella fase consideravo essenziale non indebolire la corsa di Renzi sulle riforme economiche. Perciò votai sì, pur avendo varie riserve. Di questa riforma mi hanno sempre convinto la modifica del rapporto fra Stato regioni, l’abolizione del Cnel e la fine del bicameralismo perfetto. Non mi convince un Senato così ambiguamente snaturato, nella composizione e nelle funzioni. Meglio sarebbe stato abolirlo».

Altri fattori che la convincono dell’impianto della riforma?
«Ci possono essere risparmi nel costo della politica in senso stretto, ma il vero costo della politica non è quello, che pure si deve ridurre, per il personale della politica. È nel combinato disposto fra la costituzione, attuale o futura, e metodo di governo con il quale si è lubrificata da tre anni l’opinione con bonus fiscali, elargizioni mirate o altra spesa pubblica perché accettasse questo. Ho riflettuto a lungo in proposito».

Cosa ne ha concluso?
«Da trent’anni mi occupo di metodi di governo, in particolare dell’economia. Quando ne ho avuto l’occasione ho cercato di migliorarli, in Europa e in Italia. Nel nostro Paese l’ho fatto dalle colonne di questo giornale, contribuendo ad un lento ma continuo miglioramento dagli anni 90, spinto anche dall’Europa, e poi nel breve periodo della mia esperienza di governo. Partendo da queste premesse, molto diverse da tante altre voci che si sono espresse per il No, a me risulta impossibile dare il mio voto a una Costituzione che contiene alcune cose positive e altre negative, ma che – per essere varata – sembra avere richiesto una ripresa in grande stile di quel metodo di governo che a mio giudizio è il vero responsabile – molto più dei limiti della Costituzione attuale – dei mali più gravi dell’Italia: evasione fiscale, corruzione, altissimo debito pubblico. Dire che una parziale modifica della costituzione, conseguita in un modo così costoso per il bilancio pubblico, sarà molto benefica per la crescita economica e sociale dell’Italia è, ai miei occhi, una valutazione che non posso accettare. Se prevarrà il sì avremo una costituzione riformata, forse leggermente migliore della precedente, ma avremo con essa l’approvazione degli italiani a un modo di governare le risorse pubbliche che pensavo davvero il governo Renzi avrebbe abbandonato per sempre, come ha fatto meritoriamente con gli eccessi della concertazione tra governo e parti sociali. Speravo che fosse arrivato il momento in cui gli italiani potessero essere e sentirsi adulti, non guidati dalla mano visibile del potere politico che distribuisce provvidenze varie».

Insomma, è il modo con cui il premier cerca consenso attorno al sì che la spinge al no?
«Esatto. Non avrebbe senso darsi una costituzione nuova, se essa deve segnare il trionfo di tecniche di generazione del consenso che più vecchie non si può. Peraltro trovo fortemente negativo avere tenuto in piedi con l’uso del denaro pubblico queste deformazioni del rapporto degli italiani con la classe politica. Questo problema rischia solo di essere accresciuto portando alla ribalta la classe politica regionale nel nuovo senato».

(…)

Non sarebbe meglio almeno portare a casa la riforma costituzionale?

«Per me il sì sarebbe un sì a questa costituzione materiale, fatta di costituzione formale, ma anche di una cosa ancora più importante dal punto di vista economico: lo spreco delle risorse pubbliche in nome di un meccanismo per il consenso. E temo che un Senato fatto di politici locali, dato che certi poteri i senatori li avranno, moltiplicherà le occasioni di elargizioni sul territorio a fini di consenso. Peraltro non è solo una questione di finanza pubblica, guardiamo al pacchetto della legge sulla concorrenza: depauperato e fermo da oltre un anno, quindi rinviato a dopo il referendum. Ovvio in fondo, perché con quella legge si tolgono rendite a soggetti che a loro volta toglierebbero il consenso. Ma è vero che questa Legge di stabilità dà molto al mondo delle imprese. E spiega le prese di posizione di certi freschi costituzionalisti, Soloni dell’imprenditoria, non sempre del tutto a loro agio con la lingua italiana, che però sostengono questo modello di riforma in una miriade di convegni».”

L’intervista completa sul sito del Corriere della Sera

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