Referendum Costituzionale – Valigia Blu

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Referendum, le polemiche ignorano i pregi della riforma costituzionale | Emanuele Felice

Da qui a ottobre la discussione sul referendum costituzionale rischia di diventare uno psicodramma nazionale. Come ogni psicodramma, si carica di significati e intenzioni che non le sono propri, ricorre alla storia alla ricerca di improbabili conferme e vede la ragionevolezza arretrare, di fronte a impuntature e astrazioni.
Questo clima, simile a una cortina di fumo, confonde e può impedire di vedere i principali termini del problema, l’essenza della questione. Sarà bene invece non perdere di vista tre cardini fondamentali, indispensabili per una corretta valutazione, che nell’arroventarsi dello scontro rischiano di saldare.

Primo cardine: la riforma costituzionale deve essere giudicata per quel che è, senza secondi fini. Caduto un governo, se ne fa un altro. La legge elettorale, che piaccia o meno, non rientra nel quesito referendario, e si può sempre cambiare con procedura ordinaria. Il giudizio sulla Carta fondamentale non può quindi essere subordinato né alle convenienze politiche del momento – il desiderio da parte di alcuni, più o meno esplicitato, di mandare via Renzi – né alle opinioni anche motivate su altre riforme del governo, naturalmente meno importanti. È quel giudizio la variabile indipendente, da cui far discendere il resto, non viceversa.

Secondo cardine: la storia in questa decisione ci può aiutare fino a un certo punto, bene è non abusarne. Rispetto al 1948 il mondo è molto cambiato. E soprattutto è cambiata l’Europa, dove lo stato-nazione si è molto indebolito e vigono oggi formidabili contrappesi – le istituzioni europee – al governo e al Parlamento italiano, che sessant’anni fa non esistevano.
Può essere fuorviante quindi chiamare in causa a mo’ di totem il pensiero dei padri della Repubblica (il quale peraltro non è un pensiero unico e si presta, ovviamente, a interpretazioni divergenti). Molto meglio guardare al presente: il declino dell’Italia, anche per l’ incapacità del suo assetto istituzionale di adeguarsi a regole e prassi della modernità. E magari al futuro: il declino dell’Europa, perché anch’essa gravata da bizantinismi e sovrapposizioni; e se mai ragionare su come meglio incardinare il nostro ordinamento in un’ impalcatura sovrannazionale che, pure, andrebbe semplificata e rafforzata.

Terzo cardine: la questione andrebbe ponderata con la dovuta ragionevolezza, al di là di personalismi e impuntature. (…) La riforma si poteva fare meglio, a parere dei più. Ma va comunque nella direzione giusta, condivisa anche da molti suoi critici: accelerazione e snellimento del processo legislativo; maggiori poteri all’esecutivo; chiarimento nelle sfere di competenza fra Stato e regioni, con rafforzamento del primo. Ed è una riforma, in queste sue linee di fondo, attesa da decenni.

(…)

Attenendoci al merito del quesito: la riforma modernizza l’impalcatura istituzionale dell’ Italia, snellendo il Parlamento e rafforzando il governo (i quali trovano comunque formidabili contrappesi nelle istituzioni europee); inoltre limita e meglio regola il potere delle Regioni, che sono state fra le maggiori cause di inefficienza del nostro ordinamento. Certo alcune norme appaiono farraginose e si potevano scrivere ben diversamente: a cominciare da quella sulla composizione – e non tanto sulle funzioni – del nuovo Senato. Ma perché rinunciare a quello che è comunque un passo avanti, anche se incompleto?

Da La Stampa

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