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Spacchettare il referendum? Perché credo non sia possibile | Aldo Giannuli

Diversi giuristi del comitato per il No si stanno dando da fare per trovare il modo tecnico per poter “spacchettare” il referendum costituzionale in più quesiti. Impresa per nulla facile che ha molti ostacoli tecnici. Partiamo da quello che dice il 2° comma dell’art 138:

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quindi dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Ne si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti.

Dunque, il primo problema è di ordine letterale: il testo del 138 dice “La legge sottoposta a referendum” usando il singolare tanto per l’oggetto (la legge) quanto per la consultazione in sé (il referendum) e non fa cenno alla possibilità di referendum su singole parti della stessa legge. Peraltro, non lo vieta nemmeno, ma questo basta a dire che lo spacchettamento è possibile? Il problema non è di lettera ma di sostanza.

Le Costituzioni, per convenzione, sono sistemi chiusi e coerenti, per cui la modifica di singole parti non deve dar luogo a disfunzioni sistemiche. Se alcune modifiche del testo dovessero risultare incoerenti con il testo nel suo insieme, si cercherebbe di sanare l’aporia interpretando il testo in modo da renderlo coerente con il resto. Questo, però, potrebbe non essere sempre possibile. Ad esempio, non posso abrogare gli articoli che istituiscono il Senato e poi lasciare quelli che parlano di “Parlamento in seduta comune”, perché, in un sistema reso unicamerale, l’espressione non avrebbe più senso, né posso lasciare un articolo che dice che il Presidente del Senato è Capo dello Stato provvisorio in caso di morte, dimissioni o impedimento permanente del Presidente della Repubblica, perché non essendoci più un Senato, non c’è più un suo Presidente. Dunque, occorre che le leggi di revisione abbiano ben presenti i limiti di carattere sistemico che debbono rispettare.

In secondo luogo, non è affatto detto che “spacchettare” i referendum sia una operazione semplice, univoca o auto evidente: potrebbe benissimo darsi che si presentino più quesiti ritagliati in modo diverso e parzialmente sovrapposto, a quel punto, toccherebbe alla Corte decidere quale ammettere e quali respingere, non essendo possibile votare su quesiti in parte intersecati, per cui una disposizione potrebbe risultare insieme approvata e respinta nello stesso tempo. Ma, nel decidere su una cosa del genere, la Corte assumerebbe un ruolo di decisore politico che non le spetta. E, nel nostro caso, la situazione è complicata dal fatto che c’è già un quesito, sottoscritto dai parlamentari Pd che chiede la pronuncia sull’intera legge, mentre potrebbero essercene diversi su singole parti da parte del gruppo M5s o di altri settori politici. “Spacchettando” il referendum, la Corte interverrebbe nel merito della legge modificandola, quel che non è nei suoi poteri. D’altra parte, se il legislatore –cui appartiene il potere di revisione- avesse voluto procedere per parti separate, avrebbe potuto approvare distinte leggi di revisione, al contrario, votandone una sola ha espresso la volontà di elaborare un unico progetto organico e questo è nelle sue esclusive competenze e nessuno può intervenire in merito.

Il punto è che il referendum è un mezzo inidoneo ad intervenire nelle singole parti di una legge costituzionale (cosa ben diversa di una legge ordinaria, su cui il Parlamento può intervenire entro 90 giorni per sanare eventuali incongruenze, cosa non prevista assolutamente nel caso di riforme costituzionali).

da aldogiannuli.it

Categories:   Segnalazioni

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