Referendum Costituzionale – Valigia Blu

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Referendum: Sì o No? Dialogo tra Pietro Ichino e Ferruccio De Bortoli

Alcuni passaggi del lungo dialogo tra Pietro Ichino e Ferruccio De Bortoli sulla riforma della Costituzione e sull’opportunità di votare a favore o contro al referendum che si terrà in autunno.

Pietro Ichino: All’inizio di questa legislatura, nella primavera del 2013, ho vissuto con angoscia la situazione di paralisi delle istituzioni che si era determinata, con il Parlamento incapace di esprimere il Governo e persino di eleggere il Presidente della Repubblica, con la sentenza della Corte costituzionale che ci consegnava una legge elettorale perfettamente proporzionale tale da produrre all’infinito il ripetersi di quella situazione di stallo, con i rapporti tra Stato e Regioni in una situazione letteralmente caotica, con l’economia del Paese da anni affamata di riforme urgenti e di nuovo sull’orlo di un tracollo dagli esiti catastrofici. In quel momento mi pareva impensabile che nel giro di due anni quello stesso Parlamento potesse produrre un Governo capace di programmare e poi condurre in porto una riforma elettorale tale da mettere il Paese al riparo dal ripetersi di quella situazione di stallo e addirittura una riforma costituzionale coerente con quello stesso obiettivo. Non pensi che abbia ragione Giorgio Napolitano quando ammonisce che l’eventuale successo del NO nel referendum dell’autunno 2016 sarebbe destinato a riportare il nostro Paese alla situazione pericolosissima del 2013, con l’aggravante di un azzeramento di due anni di sforzo riformatore, che rischierebbe di certificare l’irriformabilità delle nostre istituzioni?

Ferruccio De Bortoli: So che hai vissuto con angoscia – e lo hai scritto da parlamentare più volte sul Corriere – l’inconcludenza dell’attività delle Camere. Abbiamo sostenuto insieme la necessità di rafforzare l’esecutivo, di rendere più agevole l’iter delle leggi e di operare una semplificazione delle istituzioni. Ma la soluzione ideale, converrai, non è quella di operare una concentrazione anomala di potere nelle mani di una singola persona o di un ristretto numero di fedelissimi, svuotando di significato persino il consiglio dei ministri, trasformando le Camere, umiliate dai troppi voti di fiducia, in un segretariato e occupando a piacimento ogni posto di potere. L’avesse fatto Berlusconi saresti insorto. E giustamente. Quello che è accaduto nel 2013, lo stallo parlamentare, l’impossibilità di formare un governo ed eleggere un nuovo capo dello Stato, è anche, e soprattutto, frutto dell’incapacità dei partiti di parlare al Paese, del loro fallimento elettorale. Non colpa delle norme, comunque inadeguate. Il successo dei Cinquestelle è stato favorito da un reale malessere del Paese. E il lato debole, il difetto d’origine dell’Italicum finisce per essere, paradossalmente questo: la paura che al ballottaggio trionfi una forza antisistema.

(…)

Pietro Ichino: Sulla questione particolare dell’elezione dei membri del nuovo Senato, osservo, per un verso, che in nessun Paese europeo i membri della Camera alta – là dove essa esiste – sono eletti direttamente a suffragio universale; per altro verso, il sistema delineato dalla riforma costituzionale implica addirittura una doppia elezione dei senatori: quella a suffragio universale a Sindaco di una grande città, o a consigliere regionale, poi quella di seconda istanza da parte del corpo elettorale costituito dagli eletti nei consigli delle autonomie locali. Il modello è simile a quello francese. Lo si potrà modificare in futuro in considerazione di come avrà funzionato; ma quale senso avrebbe prevedere una elezione del Senato a suffragio universale, se si concorda sul punto che questo ramo del Parlamento non deve più votare la fiducia al Governo, mentre deve essere espressione diretta delle autonomie locali?

Ferruccio De Bortoli: Accolgo la tua tesi sull’elettività del Senato, ma credo che l’omologo francese e il Bundesrat funzionino diversamente. Soprattutto la seconda camera tedesca. Ti domando se il nuovo Senato non finisca per essere una retrovia degli enti locali nella quale confluiranno, non più eletti direttamente, le seconde file delle Regioni che già non brillano per la qualità dei loro esponenti. Un bravo sindaco si occuperà, se è serio, più della propria città. Non del nuovo Senato. Guardati i consigli metropolitani, e come e da chi sono composti. Temo che il nuovo Senato non brillerà per competenza, rifletterà l’immagine, pessima, degli enti locali di cui sarà modesta espressione. Il bicameralismo andava superato. Ma perché allora non avere una Camera sola? Perché non avere più coraggio? Ma tu accetteresti di farne parte? Ti sentiresti orgoglioso di esserne membro? Non credo.

Pietro Ichino: Di fronte a tutte le riforme istituzionali è sempre accaduto che molti – anche tra i più culturalmente provveduti – abbiano manifestato scetticismo e persino sarcasmo. È accaduto anche per la “Costituzione più bella del mondo”: Gaetano Salvemini, per fare solo un esempio, all’indomani della sua approvazione la qualificò come “un’alluvione di scempiaggine”, affermando che “i soli articoli che meriterebbero di essere approvati sono quelli che rendono possibile emendare… questo mostro di bestialità”; ma certo non avrebbe preferito che quella Costituzione venisse bocciata e si ricominciasse daccapo. Non pensi che sia giusto esercitare, nei confronti dell’ordinamento esistente, almeno lo stesso spirito critico che si esercita nei confronti delle ipotesi di suo cambiamento?

Ferruccio De Bortoli: Tu ti domandi, e mi domandi, se non sia giusto esercitare nei confronti dell’ordinamento esistente lo stesso spirito critico che i firmatari del documento dei 56 esprimono verso le ipotesi di cambiamento. Non ho mai amato la retorica della “Costituzione più bella del mondo”, peraltro praticata generosamente quando si trattava di fermare il Caimano anche da alcuni sostenitori del sì al prossimo referendum. Però che tristezza quegli articoli in cui per obiettare alle tesi del no si fa la media dell’età dei firmatari, li si fa passare come vestali impolverate della conservazione. Quanto implicito disprezzo verso figure autorevoli, presidenti emeriti della Corte Costituzionale. Non è un inaccettabile sfregio anche alle istituzioni che hanno rappresentato? Perché non vi siete ribellati a questa sottile bastonatura del dissenso?
Caro Pietro, termino con una domanda finale che pongo al valente giurista. L’Italicum trasformerà ancora di più la Camera in un’assemblea di nominati dai capipartito, grazie ai capilista bloccati e alla candidature plurime. Il Senato non sarà più elettivo. Si rafforzano, com’è giusto, i poteri dell’esecutivo. La forma di governo surrettiziamente cambia. I contrappesi, referendum propositivo (peraltro solo promesso) e legge d’iniziativa popolare, appaiono modesti. Quasi posticci. Mi domando se, al termine del processo riformatore, saremo ancora una democrazia rappresentativa. Il problema più serio della nostra fragile democrazia è convincere i votanti, sempre di meno, che la loro opinione conta, che sono ancora cittadini. Se gli italiani si convincono che il loro voto è del tutto inutile, o si asterranno o sceglieranno le forze antisistema per esprimere il loro dissenso, la loro rabbia. Il populismo troverà nuovo alimento. Gli eletti, che conservano il mandato generale, deriveranno la loro legittimità da chi li ha nominati. Non dagli elettori. La spinta al trasformismo sarà ancora più forte. Forse irresistibile. Spero di sbagliarmi, caro Pietro, ma preferisco votare no.

Pietro Ichino: Su questa tua visione del futuro davvero non concordo. E pur registrando con grande piacere i consensi molto significativi da te espressi su ciascuna delle questioni che ti ho proposto, non concordo con queste tue critiche al risultato della riforma istituzionale e di quella elettorale:
– sulla “Camera dei nominati”: il sistema elettorale più diffuso nel mondo è quello basato sul collegio uninominale, cioè quello nel quale più di ogni altro il candidato è “nominato” dal partito, e gli elettori possono solo votare quello o votare il candidato di un altro partito, prendere o lasciare: per questo aspetto non vedo una differenza rilevante rispetto all’elezione del capolista nel piccolo collegio previsto dall’Italicum per la scelta dei deputati; a me, francamente, preoccupa di più il ritorno alle preferenze per i secondi eletti nello stesso collegio (compromesso che il PD ha dovuto subire);
– sul “Senato non eletto”: i senatori saranno eletti eccome! Ho osservato sopra che i passaggi elettorali per loro saranno addirittura due, dovendo essi passare sia per l’elezione al consiglio regionale o al seggio di sindaco di grande città, poi per l’elezione da parte del grande “collegio degli eletti” delle autonomie locali, come in Francia;
– sui contrappesi al potere del Governo: i contrappesi non saranno costituiti soltanto dal referendum e dall’iniziativa legislativa popolare, ma anche e in primo luogo dalla Corte costituzionale, i cui poteri e competenze sono aumentati dalla riforma, e dal Presidente della Repubblica (i 60 voti favorevoli ogni cento espressi in Parlamento, necessari per eleggere il Capo dello Stato, significano che alla minoranza basterà non assentarsi dall’Aula per imporre alla maggioranza una scelta condivisa). Quanto, infine, alla percezione da parte degli italiani del voto politico come inutile, a me sembra che questa sfiducia sia venuta rafforzandosi proprio in conseguenza dell’inconcludenza della politica, dell’impossibilità strutturale per quasi tutti gli ultimi 70 anni di dar vita a un Governo che enunciasse un programma di legislatura e poi disponesse effettivamente di una legislatura, o anche di mezza, per attuarlo. A ben vedere, questo è il risultato di una scelta consapevolmente compiuta dai costituenti nel 1946-7, a causa delle paure soverchianti e simmetriche di una dittatura di destra e di una dittatura di sinistra. Ma oggi il rischio più grave per la democrazia non è quello del ritorno di una dittatura, bensì quello dell’impossibilità per qualsiasi Governo di realizzare un qualsiasi programma: rischio che all’inizio di questa legislatura era diventato quasi una certezza.
Anch’io avrei preferito che questa riforma potesse essere approvata in Parlamento con un consenso più ampio: questo era il disegno iniziale delineato nel “patto del Nazzareno”. Ma il voltafaccia improvviso di Forza Italia e l’indisponibilità totale dei Cinquestelle non hanno lasciato altra scelta se non quella di andare avanti con una maggioranza più ridotta. Se ora il referendum annullasse anche il risultato di questi due anni di lavoro compiuto in condizioni difficilissime, ritorneremmo alla situazione di tre anni fa; ma questa volta – temo – sarebbe ancora più difficile uscirne.”

da pietroichino.it

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